L’Arabia Saudita schiaccia sul pedale dell’acceleratore per accreditarsi sempre più come meta di un turismo di alto profilo. Ricco ed esperienziale.
Del resto, la storica e prevedibilissima conquista di EXPO 2030, che sarà ospitato appunto nella capitale Riad, la dice lunga sugli obiettivi strategici di Moḥammad bin Salmān.
Senza dimenticare il progetto che riguarda il calcio, ovviamente.
Pur con tutte le difficoltà di ricrearne la magia “a tavolino”. Un risultato che non è assolutamente scontato, perché non basta “importare talenti”.
Il chiaro intento è di riposizionare il Paese e il suo brand, allontanandolo dalla tradizionale associazione, verticale e ristretta, con oro nero e petroldollari.
In tal senso, il turismo, in particolare, non è solo un’area di business (che fa rima anche con sviluppo immobiliare forte) in cui investire, ma anche uno straordinario veicolo di comunicazione.
Qual è il modo migliore per cambiare la percezione che le persone hanno di un Paese (e del suo brand) se non facendoglielo vivere, in modo esperienziale e coinvolgente?
Fra le varie iniziative in cantiere, è particolarmente interessante quella dell’Islamic Civilization Village, per puntare forte sul turismo culturale, mettendo l’universo simbolico della religione islamica al centro del progetto.
Un vero e proprio villaggio esperienziale di 257.000 metri quadrati, con musei, negozi, ristoranti, hotel e attività di intrattenimento (o meglio di edutainment). Per esaltare il valore di una cultura (quella islamica), di cui (questo è il messaggio) non avere paura, ma da conoscere nel profondo. Per imparare ad apprezzarla o tornare ad amarla.
Non solo un progetto di business, quindi, ma anche una sfida imponente. Per aprire una prospettiva diversa sul mondo arabo e per far spiccare il volo all’Arabia Saudita, come meta turistica “top” e come partner d’affari sempre più desiderabile.
Sullo sfondo, però, rimane il nodo dei diritti umani, che non è esattamente un dettaglio quando l’obiettivo è di aprirsi al mondo e al futuro.