La piccola bottega può rinascere: non solo centri commerciali…

Tempo fa avevo condotto con un collega di Urbino un’interessante indagine sul futuro dei piccoli negozietti di generi alimentari.

Come consumatore attento, confermo alcune evidenze emerse in quell’analisi: il punto è che i piccoli negozi devono comunque evolvere in chiave manageriale, perché non possono e non devono pensare di poter essere semplicemente una riproduzione in scala di quello che è un supermercato.

Diverse le superfici, diverse le carte da dover e poter giocare. Appunto, i negozietti di prossimità devono calibrare le loro scelte di localizzazione, di assortimento (aspetto centrale), di prezzo in molto peculiare, per essere un’alternativa preferibile e non sbiadita (cui far ricorso all’occorrenza) alla grande distribuzione.Sul terreno delle offerte e dell’ampiezza di gamma non si può competere, non c’è dubbio.

Ma allora su cosa puntare?

1) sul rapporto umano, caldo, cordiale, relazionale con la clientela: è per molti versi angosciante e disarmante la freddezza da grandi numeri della grande distribuzione; una sorta di “catena di montaggio“… Ok la flessibilità di orari e la comodità dei parcheggi, però…

2) sull’assortimento (di riflesso sul pricing): è chiaro che nel negozietto se troviamo le stesse marche, gli stessi prodotti presenti nella grande distribuzione, non ci siamo, anche perché presumibilmente (a meno che il negozietto voglia perderci) i prezzi saranno più alti.

Allora mi aspetto che il “salumiere di fiducia”, ad esempio, mi proponga (accanto a un set di marche segnaletiche che proprio non possono mancare) una serie di prodotti del territorio, o comunque di aziendine di piccole dimensioni, ma con un gran prodotto (in Italia ce ne sono un sacco), che il consumatore da solo non sarebbe in grado di scovare sul mercato.

In quel momento, il “pizzicagnolo” riscopre il suo ruolo originario e diventa “consulente” per gli acquisti quotidiani: il cliente mangerà bene (meglio) e potrà assaggiare una serie di chicche.

In tutto questo, il prezzo non dovrà essere necessariamente basso, o il più basso, anche se deve poter essere accessibile. In questo modo si passa dalla brand loyalty alla store loyalty.

In questo senso, del resto, si richiedono al negoziante nuove capacità di ricerca e selezione dei fornitori, nonché la capacità di presentare il prodotto (spoglio del valore segnaletico della marca industriale) e spostare le preferenze del consumatore, oramai parte integrante, in molti, casi, suo malgrado, degli ingranaggi del consumo di massa…

E gli stessi ragionamenti valgono per i mercati rionali (che oramai, in molti casi, si sono appiattiti sull’offerta cheap, ma che potrebbero riscoprire centralità e appeal nei contesti di shopping urbano) e per i mercati permanenti (penso a quello, bellissimo, di Cagliari, ad esempio), che sono spesso molto caratteristici (o hanno le potenzialità per esserlo) e che possono attrarre anche turisti, contribuendo a creare vitalità territoriale.

Qui si entra anche nel tema dei Centri Commerciali Naturali, di cui avevamo parlato.

Vediamo cosa succederà, ma ciò che è certo è che il piccolo commercio potrà risollevarsi se e solo se si adotteranno comportamenti proattivi e scelte coraggiose.

Con questo colgo l’occasione per un caro augurio di buone feste a tutti i lettori del blog. All the best!

Fulvio for Experyentya

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