Quale sarà l’impatto del Covid su Turismo e Ristorazione?
Iniziamo già a capirlo, ma affrontiamo assieme alcuni temi chiave, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa con gli amici di Suite 24.
Tutti ruotano attorno al concetto di sicurezza, come nuovo fattore critico di successo.
E’ inevitabile che tutti gli operatori ne parlino e che ne siano in molti casi ossessionati.
Quello che è certo è che sotto questo profilo ci vogliono risposte credibili e che sia necessaria grande attenzione al dettaglio, perchè il cliente sarà per forza di cose molto critico e attento.
Disattenzioni e passi falsi potrebbero essere pagati davvero cari, in termini di passaparola e quindi di reputazione.
Però alcune considerazioni sono opportune.
Tanto inciderà l’andamento del virus nei prossimi giorni.
Se i dati dovessero stabilizzarsi o migliorare ulteriormente (soprattutto in termini di effetti del virus) il grado di attenzione rimarrà sì alto, ma si affronteranno viaggi, uscite ed escursioni più a cuor leggero, quindi con minore ossessività verso le “condizioni di contesto“.
I protocolli di sicurezza: il fatto che vi possano essere protocolli chiari e condivisi (distinti per categoria di operatori, quindi per ristoranti, hotel, stabilimenti balneari, ecc) è un fattore di rassicurazione e normalizzazione.
Si crea, in sostanza, uno standard, che diventa una “nuova normalità“, che aiuta a vivere anche i momenti fuori di casa con maggiore tranquillità.
Attenzione, inoltre, perché ogni operatore può personalizzare il protocollo, rispettandone le disposizioni, ma aggiungendo degli elementi tali da mettere maggiormente a proprio agio la propria clientela o comunque da creare una differenziazione positiva. You know, ognuno conosce il proprio terreno di gioco!
A breve vedremo probabilmente spuntare certificazioni e “bollini”, per attestare le virtù “anti-Covid” o “Covid free” di luoghi, destinazioni, locali, strutture. Si aprirà, così, anche una nuova opportunità di business per molti, a partire da chi già lavora sui vari ISO xyz.
Attenzione, però, a come lavoriamo sul concetto di sicurezza.
Ricordiamoci che quando parliamo di leisure, tempo libero, benessere, ristorazione stiamo ragionando su ambiti di business che sono strutturalmente esperienziali.
Quando viaggiano, escono a cena, prenotano un massaggio le persone vogliono vivere momenti di evasione, momenti coinvolgenti, momenti rigeneranti, dove stare bene, divertirsi, provare emozioni positive.
Non possiamo dimenticarlo.
Dobbiamo quindi evitare “effetto grigiore” ed “effetto paura”.
Il cliente non deve vivere con una sorta di spada di Damocle sulla testa…
Va protetto in modo credibile (lo ripetiamo), ma discreto, e gli va fatta vivere un’esperienza che sappia – più che mai – cancellare il ricordo di giornate che hanno saputo essere tristi, cupe, amare, come non mai.
Già lavorare sulle etichette e i concept può aiutare, come nel caso di Etihad, che sui propri voli ha introdotto la figura del “Wellness Ambassador“, spostando l’attenzione dal “faccio in modo che non crepi” al “faccio in modo che la tua esperienza di volo sia – anche in questa fase – ottimale”.
Ma si può andare anche oltre, “usando il pretesto” di una terribile emergenza per innovare in modo profondo la propria proposta, marcando, così, la propria capacità di differenziarsi e creare valore.
Qualche esempio?
Avrete forte sentito parlare del ristorante di Milano che invece di piegarsi all’insostenibile tristezza indotta dal plexiglas/s (*scriviamolo così, in modo da far contenta sia la Azzolina che Salvini 🙂 ) ha deciso di riconcepire i propri spazi con le casette di legno, dando un tocco green, caldo, contemporanee e di certo innovativo al proprio locale.
In Umbria, invece, a Todi, si sono inventati il “ristorante fra gli alberi e sugli alberi”, dove le ordinazioni vengono fatte con un walkie talkie e i piatti vengono trasportati grazie a un verricello elettrico.
Si potrebbe obiettare che soluzioni del genere sono più sceniche che sostanziali.
Non è proprio così.
Può essere un modo per rispondere alle nuove esigenze e alle nuove paure indotte dal Covid, rilanciando sul fronte dell’esperienza (indimenticabile) offerta alla clientela.
E’ chiaro che poi sia necessario posizionare proposte di questo tipo nel modo giusto.
Nella fattispecie, nello spettro delle esperienze straordinarie e fuori dal comune, che vanno quindi anche fatte pagare in modo corrispondente.
Da questo punto di vista, ognuno giocherà la propria partita.
Come non parlare, poi, del delivery, che è stato completamente sdoganato e che, se fatto bene, può essere “una cosa del tutto diversa”, estremamente esperienziale e coinvolgente, ma che, a tal fine, va disegnata da zero, non potendo essere semplicemente l’invio a casa di un prodotto che non puoi degustare in ristorante.
E allora, come il nostro amico Paolo Severi di Farina ci ha fatto vedere, devi pensare a:
@ qualcosa di diverso, che riguardi in modo specifico, esclusivo, “ciò che il cliente potrà fare e sperimentare a casa”.
Nel caso di Farina, ad esempio, si tratta di kit pizza da recapitare a casa del cliente, per un’esperienza di vera co-creazione, che metta il cliente al centro, facendogli imparare delle cose o comunque mettendolo in condizione di partecipare e “dire la sua”.
Buttiamola lì: un modello Ikea molto più gustoso e coinvolgente, dai:)
✅ un “percorso” e un “racconto”, con un occhio all’estetica e al dettaglio, proprio perché il focus si sposta dal semplice prodotto all’esperienza che si vuole far vivere;
✅ sfruttare l’occasione per “mettere in scena” le chicche del proprio assortimento (il kit, infatti, è paragonabile a una ‘special food box’), richiamando ancora una volta l’attenzione del cliente sulla capacità del proprio locale preferito di “fare la differenza”, scovando in giro “il meglio che c’é” (il pomodoro, la mozzarella, la birra artigianale).
Tutto questo per dire che, sì, a causa del Covid viviamo una situazione difficile, ma le imprese possono e devono reagire, aprendo anche orizzonti nuovi al consumatore, che, soprattutto nel Turismo e nel “metamercato” del tempo libero, deve poter sognare e dimenticarsi, per qualche ora o qualche giorno, anche dei più grandi problemi.