Il mondo diventa sempre più verde e, con esso, l’economia. Già, diciamo che si è costretti a pensare e ad agire in un’ottica “green“, che lo si senta come obiettivo irrinunciabile, o come vincolo ineludibile.
Decisori politici, imprese, cittadini, consumatori vedono dinanzi a sé una nuova prospettiva e sono chiamati a stili di vita, di pensiero e di condotta inevitabilmente diversi.
Insomma, a molti il mondo sembra recitare il suo countdown e questo scuote gli animi e spinge ad azioni concrete.
Tradotto in termini economico-manageriali, ciò significa nuove aree di business che si aprono, nuove generazioni di prodotto che oramai sono pronte per entrare sul mercato o sono pronte a decollare (es: le “auto verdi”) e significa anche interventi più spiccioli sui prodotti esistenti, come nel caso dell’acqua dal “pack verde”, più volte rimbalzata sul Lab.
Fra le tendenze più interessanti che stanno emergendo, oltre al ritorno in auge del baratto, nella sua versione postmoderna, ritroviamo il fenomeno dell’upcycling.
Che roba è?
Significa recuperare beni destinati il più delle volte alla discarica, o comunque privi di vita commerciale residua, per trasformarli in prodotti originali, spesso dal posizionamento alto o medio-alto e con un rilevante contenuto di design e/o ricerca.
Beh, cosa dire, è un modo molto intelligente per dare nuova vita alle cose, conferendo loro un valore anche notevolmente più alto rispetto a quello che presentavano in precedenza.
L’aspetto forse più interessante è che questa può diventare una base di posizionamento molto intrigante agli occhi dei consumatori-obiettivo; chiaramente, giocando bene sui segnali di valore.
La tendenza nasce come al solito negli USA, dove, ad esempio, Looptworks recupera i tessuti inutilizzati dalle fabbriche di abbigliamento (gli scarti) e li trasforma in capi limited edition.
Dopo due anni dallo start-up, quest’azienda impiega 12 persone ed ha una collezione di 50 modelli, a cui si sono aggiunte anche custodie per pc realizzate dagli scarti della produzione di mute.
Ma l’azienda di upcycling più famosa al mondo è probabilmente TerraCycle, fondata nel 2011 da Tom Szaki, studente 19enne di Princeton di origini ungheresi, che ha avuto la remunerativa idea di produrre fertilizzanti naturali dagli escrementi di vermi.
Ma dagli inizi l’idea si è evoluta, puntando sulla valorizzazione della spazzatura: borse, vasi, cornici realizzate con le catene delle biciclette, zaini ottenuti con le carte dei biscotti e così via.
Nel 2010 questo “gioco” ha fruttato un giro d’affari di 20 milioni di dollari; decisamente non male…
Ma non dimentichiamoci dei casi nostrani, dove spicca Brandina, brand di borse ottenute riciclando i tessuti dei lettini e delle sedie a sdraio della Riviera Romagnola, che è stato capace di diventare in pochi anni un vero must.
Molto bello è anche il caso Venette Waste, altra azienda giovane, che impiega, oltre ai due soci, una dozzina di collaboratori interni, più una ventina di commerciali esterni.
Cosa fanno? Ritirano giacenze di magazzino (tessuti, semilavorati, abiti finiti) presso aziende tessili e negozi e ne realizzano capi di alta moda, lavorandoci su e recuperando tutto il recuperabile.
La logica è proprio quella di ridar vita alle cose, incrementandone il valore, senza particolari aggiunte (solo i cartellini degli abiti sono realizzati ad hoc), se non la creatività nel “redesign” dei capi e nella loro trasformazione materiale.
Peraltro, letta sotto questo profilo, quest’azienda incarna molto bene i principi della nuova economia, “leggera” e immateriale.
Degno di nota è anche il sistema di vendita, così come, più in generale, l’approccio al mercato scelti dall’azienda. Qui le parole d’ordine sembrano essere smart, veloce, mai banale.
La vendita avviene tramite negozi on-line (sistema snello) e tramite le “waste angel” (in foto), che organizzano eventi mirati per presentare gli abiti e lo stile dell’azienda e che hanno anche il compito di consegnare i capi ordinati dalle clienti on-line.
Si è pensato a tutto, in linea con il posizionamento: così, se una cliente si stanca del proprio abito, può riconsegnarlo all’azienda, che provvederà a rinnovarlo o lo cambierà con un altro.
La produzione avviene in Valle d’Aosta, dove è stato possibile beneficiare di un finanziamento di 200.000€ per lo start-up.
Questo riconferma quanto sia strategico il supporto (intelligente) del “Pubblico”, per indirizzare o supportare lo sviluppo più sostenibile (sotto vari aspetti) delle attività economiche che insistono sul territorio, soprattutto di quelle che possono avere maggiore futuro.
Insomma, questa nuova economia ci riserva molte sorprese, pochissimi “one best way” e un ampio spazio per la ricerca di nuove opportunità, a beneficio delle imprese maggiormente proattive, con capacità market creation.
“Insomma, a molti il mondo sembra recitare il suo countdown e questo scuote gli animi e spinge ad azioni concrete.”
Trovo che questa sia la sintesi perfetta per spiegare come sia consumatori sia produttori (e uomini di mercato in generale) debbano approcciarsi sempre di più al trend della “green economy”, che sta diventando sempre di più un must.
Non ci perde nulla nessuno, anzi ci guadagniamo tutti.
Molto interessanti gli esempi riportati, soprattutto le modalità di approccio al mercato!
grazie riccardino!