Fra un po’ arriverà nelle librerie il mio nuovo libro, sulla Felicità. Credo lo si sia capito, visto che oramai sulla pagina Facebook di Experyentya gli accenni al tema sono continui…
La Felicità è un tema tosto, meraviglioso, pieno di sfaccettature e ramificazioni. E’ un concetto tanto importante (e impegnativo) quanto scivoloso. Sarà bello condividere con voi i principali spunti che emergono dal mio studio.
Questo post vuole essere in qualche modo propedeutico al libro. La riflessione semplice, che faccio oggi, è che troppo spesso ci dimentichiamo del valore (altissimo) delle cose più semplici della vita. Sono quelle che contano di più, che ci fanno sorridere, stare bene. Mai, quasi mai, queste cose hanno a che fare con “cose che si comprano”. Sono, invece, “cose che si vivono”.
A volte, incredibilmente, sono eventi traumatici a richiamarci a una maggiore attenzione alle “cose della vita che contano davvero”…
Proprio in relazione a questo, ho ripescato dalla mia pagina Facebook una nota che avevo scritto di getto a seguito del terremoto de L’Aquila, che ora voglio ricondividere integralmente con voi.
“Ciò che hai conseguito, lo devi conseguire un’altra volta“…
E’ una bella frase di Osho e devo dire che riassume e rispecchia molto efficacemente la realtà. Siamo in un’epoca strana, piena di contraddizioni, di movimenti (evoluzioni e involuzioni) assolutamente irregolari, di caos e disordine. Questo vale per i mercati, se parliamo di business, e vale per la società e per i rapporti interpersonali.
Di recente, siamo rimasti scossi prima dalla crisi economica internazionale, poi dalla terribile catastrofe del terremoto in Abruzzo. In presenza di scossoni così forti, si risvegliano molti animi sopiti, in molti si riaccendono scintille di emozionalità, di impegno, di partecipazione e qualcuno, purtroppo, ci marcia e ci specula. Il mio primo pensiero va ai media, ma temo che vi saranno speculazioni economiche “da ricostruzione”.
Voglio citare un servizio de Le Iene andato in onda ieri (17-04-09), con Enrico Lucci, che si è recato in una delle tante tendopoli allestite in Abruzzo, a girare un po’ fra la gente (assolutamente confermata l’impressione che il Popolo Abruzzese sia pieno di dignità e di gioia di vivere).
Bene, chiaramente il servizio aveva una certa finalità e c’è stata molto probabilmente anche un po’ di scrematura preliminare degli intervistati, ma ciò che è emerso con forza e che mi ha fatto riflettere, confermando molte delle cose che penso da tempo (ma prima di me e in modo molto più qualificato, lo sottolineano molti osservatori ed analisti) è che in questa fase storica (in generale, comunque, è la natura dell’uomo a richiedere un certo tipo di “sollecitazioni”…) si abbia bisogno di spinte consistenti per “rinsavire” e riscoprire una dimensione “autentica” e “salutare” del vivere quotidiano.
Così, ad esempio, nel servizio di Lucci queste persone meravigliose (dall’anziana al bimbetto), pur in un momento di oggettiva sofferenza e destabilizzazione, sono apparse felici, vive, rigenerate. Sì, tutto va preso e inteso con tutte le cautele del caso, ma il punto è che:
– la vecchietta oramai sola da anni, “rinchiusa” in una casa e “schiava” di programmi di pseudo-intrattenimento veramente cheap (anzi, spesso deprimenti e impoverenti) si rallegra del fatto che ora nella tendopoli sia sempre stretta fra l’abbraccio caldo e affettuoso di molta gente, che magari nemmeno conosceva o conosceva solo di vista. Gioca con loro a carte, parla, racconta un sacco di cose, si sente “viva”;
– la massaia si sente liberata dal suo “ruolo”, chiaramente percepito come costrittivo ed è entusiasta di aver rivisto proprio lì, in quello spazio improvvisato, frutto di un evento doloroso e drammatico, una vecchia compagna di scuola, che aveva perso di vista da tempo;
– il papà è contento che la figlia teenager finalmente si sia schiodata da msn e facebook (non sa bene come si pronuncia, ma sa cos’è e sa che stava diventando una sorta di “prigione delle mente” per la ragazza) e la vede più serena, più vispa, più “felice”;
– una famiglia si rallegra del fatto che finalmente quando si è a tavola si parla, senza intromissioni (spesso banali) della Tv;
– un bambino sprizza gioia da tutti i pori, perchè ha capito che la PlayStation in realtà è “una gran cazzata” e che è molto più bello giocare su un campetto da calcio improvvisato con dei compagnetti che magari ha conosciuto nella tendopoli. Sì, i genitori tendevano a farlo uscire poco di casa, per paure di vario tipo e per non avere il pensiero (e l’onere…) di vigilare sul suo tempo trascorso fuori dalle “4 mura”;
– un gruppetto di lavoratori rumeni si rallegra di percepirsi finalmente come “parte di una comunità”, parlano con tutti, vengono ascoltati, hanno voglia di farsi conoscere e di aiutarsi reciprocamente con gli altri;
– un fornaio, che fortunatamente non ha visto crollare né la sua casa, né il suo forno, non ha mai smesso di produrre e distribuire pane (dal lunedì stesso dopo la prima forte scossa, lo fa gratuitamente). Molti suoi dipendenti spaventati se ne sono andati e si sono messi al riparo; lui e altri due dipendenti, un marocchino ed un boliviano, continuano nella loro “missione” e lo fanno con la gioia nel cuore e l’orgoglio negli occhi.
Tutto strano, no? Non tanto, alla fine…
Ci tengo ad essere cauto e bilanciato, non voglio risultare inopportuno. C’è molta gente che purtroppo ha perso familiari, amici e molte cose a loro care, che non recupereranno più. Questo è terribile e non si può fare nulla, se non rispettare il loro dolore, se possibile supportarli e sperare (attivandosi anche in vari modi affinché ciò accada) che chi detiene le redini del potere politico faccia verifiche, condanni (in alcuni casi, si condanni…), investa, garantisca.
Detto questo, depurato il tutto dall’oggettivo e dall’insanabile, c’è uno spazio di riflessione importante che si apre. Oggi abbiamo bisogno di riscoprire l’essenza delle nostre esistenze, del rapporto con gli altri, con il mondo circostante. Abbiamo bisogno di farlo in modo profondo e con una certa urgenza. Abbiamo bisogno di togliere quel maledetto velo che nasconde molte “verità” e che ci rende spesso “miopi” e tanto, ma tanto “deboli e poveri”.
Fulvio x Experyentya
Caro Fulvio, avrei molte cose da aggiungere al tuo post al riguardo, derivanti dalla mia recente esperienza in zone ad “alta intensità di sofferenza”, se così possiamo definirle. Mi sento solo di dirti, in commento al post, di non sentirti né cauto né inopportuno: è assolutamente così. E’ proprio laddove il disagio è maggiore, a volte insostenibile se visto dall’esterno, che si generano dinamiche di gioia e vivacità maggiori. Non le definirei di felicità (intesa come benessere in senso lato), ma sicuramente di capacità di gioire con poco: questo deriva dall’accettazione del proprio stato (la famosa “resilienza” umana) dalla rete legami umani e di solidarietà che si generano in condizioni estreme, dalla vita più comunitaria e meno individualista (in questo caso nessun individuo è mai solo), dal ritorno alla semplicità, al “basta poco”, all’assenza di desideri e aspirazioni consumistiche…
Grazie mille, caro Simone, del tuo commento. Sapevo che avevi elementi da aggiungere… Sono certo tu abbia vissuto una meravigliosa esperienza. Magari la prima volta che avremo modo (spero presto), mi racconterai. Un abbraccio!