Spesso si guarda sconsolati alle aziendacce che popolano il mercato, che o rimangono indietro sul prodotto, o sono tremendamente indietro sulla gestione, nei suoi vari aspetti.
Del resto, anche nel business il mondo è bello perchè è vario e perchè ci sono eccezioni che “ristabiliscono un po’ la parità”.
Oggi vi racconto la storia di Build-a-Bear Workshop, retail concept store premiato nel 2010 da Fortune fra le 100 migliori aziende al mondo.
Si tratta di una rete di negozi ben presente a livello mondiale (ma non ancora in Italia), con 297 store di proprietà in Nord America e 50 in Europa e 50 franchisee in Europa, Australia, Africa, Asia e Messico ed un fatturato che nel 2009 ha raggiunto quasi i 400 milioni di dollari.
Ma di cosa si tratta?
No, non è un semplice negozio di giocattoli.
L’idea di partenza è che i bimbi dei giocattoli si possano stancare facilmente (quanti cumuli di giochi si ammassano nel tempo nella stanza di un bambino che cresce?), ma non certo dell’esperienza del gioco, che un bene può racchiudere o supportare.
La logica è molto simile a quella dei Lego, anche se lì il meccanismo è ancora più forte, visto che l’esperienza è ripetibile all’infinito!
Tornando a questo caso, nella fattispecie si parla di orsetti, che vengono creati passo dopo passo, sul posto, direttamente dai bimbi, con l’ausilio del personale del negozio e dei genitori.
La dinamica è questa: l’orsetto si presenta inizialmente come sagoma vuota.
La sua realizzazione ruota attorno al tema emozionale di “dar vita al proprio amico del cuore” e diventa un vero e proprio rito affettivo, con il riempimento della sagoma, l’inserimento del cuore di seta rosso e del dischetto per la voce, la scelta del nome e dell’abbigliamento e l’importantissima “prova dell’abbraccio“.
La creazione del valore avviene quindi secondo un processo di co-creazione (2) dal contenuto molto personale (ciò che fa la differenza rispetto ad acquisti più standard), anche partecipato, con coinvolgimento emozionale e interazione fra bimbi e fra bimbi e genitori.
Quello di Build-a-Bear è un caso interessante anche sotto il profilo della dematerializzazione dei processi di creazione del valore (3), dove il focus è sulla capacità dell’impresa di “vedere e organizzare” un sistema del valore nel suo complesso differenziante.
interessantissimo!!! evviva il marketing esperenziale 🙂
Confermo che negli USA ce ne son davvero tanti di questi negozi. In piú, vorrei aggiungere che, per quello che ho potuto vederestando lí, Build-A-Bear ha successo non solo tra i bambini, ma anche tra i piú grandicelli. Questi pupazzi infatti sono un’idea molto gettonata per San Valentino! Effettivamente, con una manciata di cuoricini dentro e il fatto del “é fatto apposta per te”, é molto meglio del solito peluche!
🙂
Esiste anche in Italia. Si chiama MY BABOO e si trova nei negozi-spazio bimbi LA CASA DI BABOO. Ci sono punti a Biella, Orio al Serio, Firenze, Roma, Napoli e Catania. Incoraggiamo anche le idee italiane qualche volta! 😉
Ciao Valeria! Benvenuta sul blog e grazie per la segnalazione!
Che ben vengano casi italiani. Chi ci segue, sa che teniamo molto al “made in”.
Il problema è che spesso si tratta di casi “nascosti”, per cui è difficile scovarli.
Stay tuned!
Ciao, io sono stata in un negozio Build A Bear Workshop a NYC e devo dire che è stata una bellissima esperienza il creare un peluche per la mia bambina che era rimasta in Italia! in Italia manca per soprattutto, in questo periodo, il FARE qualcosa con il cuore, si compra tutto già fatto, pre-confezionato! usiamo la fantasia! il negozio My Baboo nn è un idea italiana, ma bensì scozzese! ormai siamo invasi dalle idee del Nord Europa! e se aprissero un franchising di un BABW in Italia, ne sarei felicissima … e penso nn solo io!
Ciao Silvia, grazie del tuo commento! Sì, concordo con te!
Continua a seguirci!