Nell’ultimo anno e mezzo si è detto davvero tanto su FICO Eataly World, il “parco giochi del gusto” ideato dall’illuminato (ancorché chiacchieratissimo) Oscar Farinetti.
Farinetti è uno che va dritto per la sua strada: ha fiuto, vede le opportunità prima di molti altri e ci si fionda, senza voltarsi indietro.
Ma di strascichi la genesi di FICO ne ha prodotti e molti, in particolare, hanno accusato il progetto di essere una enorme “falsificazione”, una rappresentazione stereotipata e (biecamente) strumentale del bello e del buono contenuti nel “fatto in Italia”.
Beh, anche in questo caso è tutta una questione di prospettive e di aspettative. Vi spiego il mio punto di vista.
Per farmi un’idea, da FICO sono stato un paio di volte e – da markettaro – mi sono divertito non poco.
La dimensione è quella del parco tematico del cibo in città. Nelle intenzioni di Farinetti, una sorta di oasi del gusto, del verde, del sano e quindi del bio (come dicevamo qui).
Già, perché il visitatore ideale di FICO non è certo una persona che ricerca la massima autenticità, il purista, l’intenditore.
Per il suo target ideale, quindi, FICO assume la dimensione della “cittadella esperienziale”, dove tutto è preciso, colorato, perfetto.
Ad un occhio attento, invece, appare come una (abilissima) riproduzione (del tutto artificiale) della varietà colturale e culturale (fra tradizioni, ricette ed enogastronomia) del nostro bel Paese, con tantissimi punti di contatto con il concetto dell’Expo, da cui trae evidentemente spunto concettualmente.
E, chiaramente, per ovvi motivi, tanti sono i punti di contatto con Eataly.
Quali, ad esempio?
1) Innanzitutto la percezione che si vuole dare ai visitatori: non “entrare in un negozio” (banalmente), bensì vivere un’esperienza. Già, perché non ci vai da solo e necessariamente per comprare.
Ci vai per passare piacevolmente del tempo, anche di lavoro o a cavallo con appuntamenti o occasioni di lavoro.
Quando sei lì acquisti (o consumi) dei prodotti, ma sei attratto dal complesso. Quello che ti viene offerto è, di fatto, un setting speciale e un percorso sensoriale.
Complessivamente, ti vengono offerte un sacco di occasioni per spendere il tuo tempo e il tuo denaro. Non è un caso che sia Eataly che FICO (a maggior ragione) non rispettino “orari da negozio”, bensì “da tempo libero”, fino a tarda sera, con tutte le comodità del caso.
E si tratta anche di un’esperienza turistica o collegabile ad esperienze turistiche.
Parlando in modo specifico di FICO, sono già stati creati “pacchetti turistici incoming”, per stimolare e agevolare i flussi.
Peraltro, qui siamo di fronte a un’esperienza (del gusto) coerentemente connessa a una delle principali vocazioni di uno dei territori (l’Emilia Romagna) più “gustosi” del nostro Stivale e anche uno di quelli più goderecci e complessivamente orientati allo star bene, al tempo libero di qualità.
E per chi vive più o meno nei pressi di FICO o comunque non molto distante, il giretto da quelle parti diventa un’ottima soluzione per riempire i buchi del fine settimana, quando fuori magari fa freddo e l’alternativa potrebbero essere il classico centro commerciale, l’Ikea, ecc.
Così, tutti da FICO, dal pomeriggio alla sera, per passare qualche ora al caldo, immersi in un’atmosfera complessivamente piacevole (artificiale almeno quanto quella di molti altri luoghi del commercio post-moderno, anche se sarebbe meglio definirli dei “non-luoghi” …), con tanti servizi capaci di creare comfort (dal baby sitting di qualità alle biciclette per girare all’interno del Parco, e così via)
2) Secondo importante aspetto in comune fra FICO e Eataly è il recupero di aree dismesse o depresse, a cui viene data nuova vita, anche in modo inaspettato.
Su questo, non si può certo dire che Farinetti non abbia fiuto per le occasioni e caparbietà (ma anche capacità negoziale e relazionale) per portare a termine progetti complessi, per molti impossibili o quasi…
3) Terzo importante punto di contatto è il ruolo degli eventi e dell’intrattenimento.
Da questo punto di vista, ovviamente, da FICO c’è molto più spazio rispetto all’Eataly medio e, quindi, molte più opportunità per intrattenere il pubblico, con possibilità interessanti anche per il segmento b2b.
E poi da FICO c’è il verde, la possibilità effettiva di rappresentare per il pubblico lo “spettacolo” della materia prima (vegetale e animale) che nasce e prende forma, per poi “tradursi nella meraviglia dei prodotti che ti ritrovi nel piatto”, in uno dei tantissimi locali e punti di ristoro presenti all’interno del “Parco”.
Chiaramente, questa è la narrazione che si vuole vendere al pubblico, che in media apprezza, credendoci.
Per Farinetti significa fare bingo, realizzando quello che dovrebbe essere fatto dal “Sistema Italia”, quindi “dalla politica”, perché non c’è modo migliore di vendere il territorio che partire dal giacimento enogastronomico e dal racconto (ben impacchettato) di tutto quello che c’è dietro e intorno.
In tutto questo, lo ribadiamo, la dimensione reale di FICO è quella dell’artificialità, ma si tratta di un’artificialità che fa effetto e si vende benissimo.
E una volta creato un contenitore di questo tipo, al suo interno trovano una collocazione ideale tutti quei brand (non solo del comparto food) industriali (da Lavazza alle biciclette Bianchi, per capirci) che hanno gran voglia di qualificarsi ulteriormente, mostrando con forza il proprio posizionamento premium price.
Da questo punto di vista, è a mio avviso poco consistente la critica rivolta a Farinetti di non valorizzare le piccole produzioni di qualità e i veri custodi della qualità agroalimentare italiana.
Non è infatti a Farinetti che dobbiamo chiedere questo sforzo (meno remunerativo, per lui, rispetto al gioco che conduce con Eataly e FICO) e, peraltro, il pubblico medio vuole esattamente questo tipo di “spettacolo delle merci”… Tant’é.
Di fatto, siamo di fronte ancora una volta al tema dell’asimmetria informativa, collegato alle “competenze”, alle capacità e alle aspettative del consumatore, come dicevamo nel nostro articolo sul “bio / non bio dei miracoli”.