Zara fa una mossa coraggiosa, ma decisamente interessante, lanciando la sua linea di abiti e accessori da sposa.
Una proposta “easy”, potremmo dire, con capi che vanno dai 60 ai 130 euro, sostanzialmente in linea il posizionamento del brand.
Ma perché “coraggiosa”?
In un Paese tradizionalista come il nostro, proporre abiti da sposa “low cost” potrebbe significare fare un buco nell’acqua. Ma anche creare problemi di credibilità al brand.
“Un conto è una magliettina, un conto è un abito da sposa, non scherziamo!” qualcuno potrebbe dire.
Del resto, Zara sa dove spingersi e come farlo.
Sa che una proposta del genere deve per forza essere indirizzata a un target specifico.
Quale?
Quello di donne tendenzialmente più giovani, ma soprattutto più “indipendenti”.
Ma “indipendenti” da cosa?
Dagli schemi classici del matrimonio, “da fare in un certo modo”.
Per carità, sono fautore del principio “a ciascuno il suo”, che è anche alla base del marketing.
Però se ci pensiamo, parliamo di abiti che costano molte migliaia d’euro, ma che si usano una volta nella vita.
Infatti, se anche poi ti risposi, di solito non rimetti il vestito già indossato in precedenza.
Del resto, la società sta cambiando e con essa sta cambiando profondamente il concetto stesso di matrimonio: meno “vincolo per tutta la vita”, meno “rito collettivo”, meno “festa delle feste dagli effetti speciali”.
Non è un caso che molti al “matrimonio da protocollo” preferiscano il “matrimonio alternativo”, praticando il cosiddetto “turismo matrimoniale”.
In sostanza, in questo caso invece che sposarsi nel luogo dove vive, con l’obbligo (morale) di invitare amici e (soprattutto) parenti fino all’ultimo grado, la coppia decide di sposarsi “lontano”, in “un luogo dei sogni”, con pochi intimi o addirittura da soli.
E così, se un tempo pensare di indossare un abito da sposa che costasse meno di 2-3000 euro (come “spesa minima necessaria”) poteva essere percepito spesso come umiliante, oggi non è più così.
Se ci pensate bene, è la stessa cosa che è capitata con i gioielli.
Infatti, un tempo “gioiello” faceva per forza rima con “oro” e “costoso”, ma poi sono arrivati i “gioielli da vivere” dei Morellato & Co, a scompaginare le regole.
Un concetto di gioiello diverso, che è entrato presto nei codici del consumatore (un certo tipo di consumatore) non solo come “opzione tollerabile”, bensì, spesso, come “la migliore scelta possibile”.
Del resto, il mercato lo fanno i consumatori. Sono loro a decidere cosa sia o non sia interessante.
Chiaramente, affinché ciò avvenga, è necessario che i brand che propongono queste “innovazioni di concetto” siano “adeguati e credibili”.
E devono lavorare molto bene per creare attorno alle novità che introducono la necessaria “accettabilità”.
Solidità di brand e store loyalty a Zara non mancano, ben sapendo, però, che la concorrenza non starà a guardare.
E anche che la concorrenza qui comprende anche piattaforme come Vinted, che spingono sempre più forte il concetto del “seconda mano” come “scelta intelligente”, e i sistemi di noleggio, che nella moda sono destinati a svilupparsi sempre più.
Fulvio x Experyentya