Questo cambiamento “strutturale” nel rapporto tra locale e globale fa sì che si creino spazi di mercato per idee imprenditoriali fondate su un concetto “squisitamente locale”, che fanno leva sulla tradizione storica, sul sapere produttivo artigiano, sul ritorno ad un nuovo (o meglio, “recuperato”) concetto di “qualità alimentare” (genuina ed autentica), da assaporare mediante un fruizione lenta e “consapevole”.
Un esempio di questa tendenza viene da una storia realmente accaduta ad Altamura (in Puglia) nel 2003, che da poco è stata trasposta in opera cinematografica: un punto vendita della catena McDonald’s è stato obbligato a chiudere in seguito alla schiacciante concorrenza di un fornaio locale, maestro nell’arte della focaccia, che ha reinterpretato in chiave “mediterranea” l’ormai maturo format del fast-food di matrice anglosassone.
In realtà, da qualche anno questo processo sta obbligando le grandi catene tradizionali a rivedere le proprie modalità di approccio ai mercati internazionali in un’ottica glocalistica, ovvero maggiormente orientata al rispetto della cultura e delle esigenze locali.
In particolare, Mc Donald’s sta progressivamente passando da una strategia competitiva internazionale di tipo globale (dove lo sviluppo nei mercati mondiali è basato su prodotti e servizi standard non adattati alle esigenze locali e dove l’impresa punta alla riduzione dei costi mediante una forte integrazione tra le attività svolte nei vari mercati) ad una più propriamente di tipo transnazionale, dove si punta a realizzare sia l’efficienza globale, attraverso l’integrazione, sia la differenziazione, adattando prodotti e servizi alla domanda locale.
L’adattamento alla realtà italiana che sta realizzando Mc Donald’s, nel concreto, si basa su:
- una comunicazione maggiormente focalizzata sul concetto di “qualità alimentare“, aspetto caro al consumatore italiano. Penso, ad esempio, alle campagne sul controllo della filiera della carne bovina di qualche tempo fa (a mio avviso poco credibili), oppure allo spazio sul sito incentrato sui consigli per un’alimentazione bilanciata, o alle recenti tabelle dei valori nutrizionali riportate sulle confezioni dei prodotti;
- un maggiore adattamento dei prodotti, in modo da incontrare meglio gli specifici gusti locali (ad esempio mediante le partnership con produttori italiani, come il Consorzio del Parmigiano Reggiano);
- l’ampliamento della gamma prodotti, con la creazione di nuove linee (come quelle delle insalate
fresche), progettate per rispondere a specifiche modalità di fruizione in determinati contesti (penso ai McDonald localizzati in aree urbane, dove c’è una forte densità di uffici).Mediante il caso Focaccia Blues si può dunque scorgere un’opportunità comune oggi a molte piccole realtà imprenditoriali italiane: pensare a nuovi modi di generare valore per i clienti, grazie alla capacità di interpretare creativamente l’evoluzione della società, per porsi così in nuove aree di mercato, fuori dalle arene competitive dominate dai colossi multinazionali globali.Fabio Valerio for Experyentya
(1) G.Pellicelli (2007), Il marketing internazionale. Mercati globali e nuove strategie competitive, Etas, Milano.
(2) Zygmunt Bauman (2005), Globalizzazione e Glocalizzazione, Armando Editore, Roma.
Rispetto all’america dove il fast-food è una sorta di “rito” famigliare qui in Italia un adattamento alle realtà locali pensando al consumatore odierno potrebbe essere un’idea veramente vincente…
…Il problema di Mac Donald’s è che ha un marchio ormai che si è insediato nel cervello di chiunque e che riflette proprio lo stile americano…pensare a fast-food “mediterranei” dove poter mangiare (ad esempio per la realtà romagnola) una bella focaccia e porchetta con un bicchiere di vino secondo me richiederebbe una ridefinizione completa a livello sia di ambienti che di marchio.
Penso ci siano grosse difficoltà a superare anche il sentimento di diffidenza radicato riguardo alla qualità del cibo (v. SuperSizeMe–> http://it.wikipedia.org/wiki/Super_Size_Me) dopo le decennali polemiche. Io non ho ancora sentito nessuno che si sia ricreduto e abbia cominciato ad andare al Mc per le nuove garanzie proposte.
Una soluzione potrebbe essere sostituire alcuni fast-food (ce ne sono almeno 2 per ogni città) con un nuovo marchio non esplicitando il collegamento, è anche vero che questa soluzione in caso di “fuga di notizie” non contribuirebbe certo alla “pulizia” di immagine che Mc Donald’s sta inseguendo.
Altrimenti accontentarsi dei piccoli adattamenti inseriti nel contesto standard del Mc che però non sembrano attirare chi ha deciso di non mangiare lì per principio.
E’ una sfida difficle, ci sono grosse potenzialità a livello di risorse e partnership ma difficoltà pressanti da superare a livello di percepito, che ne pensate???
Caro Alessio,
forse nel post non è emerso completamente, ma l’accento non è posto su come e quanto McDonald’s possa riposizionarsi grazie al “local”, bensì su come le iniziative imprenditoriali “locali” possano oggi avere spazio, grazie alla (ri)scoperta di sapori autentici.
Se McDonald’s inserisce nei propri menù pietanze “local” poco ci importa; per noi è poco credibile.
Il concetto di questi places alternativi deve essere molto basato sullo “slow” (Petrini docet).
Detto questo, viva la varietà; sul mercato c’è spazio per tutti ed ognuno di noi potrebbe avere voglia di farsi una serata “ammazza-stomaco” al Mc. Ciò che ci si può auspicare è, appunto, una maggiore varietà di concept e posizionamenti, dove “ognuno faccia il suo”. Noi, chiaramente, strizzeremo sempre un po’ di più l’occhio al “locale”…
A presto!
Beh per lo meno siamo d’accordo sul punto della credibilità.
A presto
[…] per oggi hanno previsto la proiezione di “Focaccia Blues” (di cui avevamo parlato), alla presenza appunto del regista, ma anche di una delegazione di produttori […]