Da cosa si riconosce un leader di mercato? Beh, la quota di mercato deve giustificarsi in qualche modo, ma non sempre è facile mantenere i nervi saldi e difendere il proprio status di primo della classe quando la ruota sembra girare male, o comunque le cose si complicano…
Ripensiamo al differente modo in cui sono state gestite due celebri crisi aziendali degli ultimi anni, ovvero Volkswagen e Costa Crociere, di cui avevamo parlato. Della serie, quando una “grande azienda” sbaglia, il tonfo può essere davvero grosso e da come gestisci il momento critico si capisce quanto tu sia solido.
Poi, però, c’é chi sembra operare in modo chirurgico, per prevenire l’errore e parare qualsiasi colpo. Sono quelle aziende che non smuovi proprio, o almeno così sembra, come quelle navi gigantesche che mantengono il controllo della situazione anche in balia del peggiore dei mari in tempesta.
E questo sembra essere il caso di Ferrero, in particolare con la sua marca mito “Nutella“, sintesi ed emblema, per molti, di piacere, estasi, antidoto e rifugio quotidiano da ansie e stress, viatico per momenti felici, da soli in compagnia. Insomma, dai, proprio un mito (sulle marche mito, puoi leggere questo).
Certo, per Nutella il gioco oggi è un pelo più difficile di un tempo, perché un po’ di quota di mercato la si è ceduta ai vari follower che a modo loro ci provano e che un po’ qua un po’ là rosicchiano market share.
Ma il problema non è proprio questo.
Semmai, il punto è che sta diventando fenomeno di coscienza e conoscenza comune il fatto che molte delle cose che da sempre mangiamo in realtà siano delle gran o mezze schifezze e, da questo punto di vista, il web amplifica moltissimo il messaggio, muovendo flussi di opinione, come succede – nel bene e nel male – per diverse altre questioni.
Alzi la mano chi non ha visto circolare questa immagine!
E, da questo punto di vista, non la passa liscia nemmeno Nutella Ferrero, da molti accusata di essere una “bomba di calorie, zuccheri e schifezze varie, con un po’ di nocciole e cacao a fare da contorno”.
In tutto questo, la questione dell’olio di palma – oramai un tormentone – è di certo IL TEMA.
Sì, proprio lui, il famigerato olio di palma, accusato da più parti nell’ultimo anno e mezzo (in particolare) di essere nocivo per l’ambiente e non così salubre per il consumatore.
Vero o non vero (la questione è complessa e ognuno si starà facendo la propria opinione, ma di certo il caos è tanto), è poco rilevante per noi (lasciamo ai “tecnici” più ortodosse valutazioni). Ciò che è invece interessantissimo è che di fronte alla demonizzazione (corretta o meno) di questo ingrediente, a cui ha corrisposto la nascita di un vero e proprio “movimento d’opinione”, la quasi totalità delle imprese ha ben pensato di prendere rigorosamente le distanze da “sta robaccia”, in un modo o nell’altro.
E così…
Ecco chi coglie l’occasione per fare un restyling complessivo delle proprie linee, così anche da camuffare un po’, in qualche modo, il “cambio di passo”, pur rendendo evidente “l’assenza del pericoloso nemico”…
Quello che coglie l’occasione per rafforzare il proprio posizionamento di “garante del benessere”…
… oppure di attento cultore delle bontà tradizionali…
E poi loro, brand leader o comunque molto rilevanti sul mercato e di sicuro affidamento per generazioni di consumatori, che a un certo punto “la buttano lì”…
E’ il caso di Barilla – Mulino Bianco, di cui avevamo già criticato la scarsa autenticità complessiva, a fronte delle pretese del posizionamento. In realtà Mulino Bianco, rispetto ad altri, il dietrofront non l’ha reclamizzato più di tanto, quasi a vergognarsi dell’ “ammissione di colpa”.
Ancora peggio quanto fatto da Plasmon, che per me, ad esempio, ha sempre rappresentato una “certezza di ferro“. Insomma, Plasmon era per me (e sono certo anche per molti altri) l’emblema di un mondo simbolico pulito e inscalfibile. Un “porto sicuro”, dai. Di punto in bianco, anche qui, ecco il contrordine, “urlato con forza”: “niente, amici, abbiamo sbagliato tutto, ma tranquilli, d’oggi in poi niente Palma!“. La perla peraltro è il messaggio “amico, #tiabbiamoascoltato!”
Beh, evviva il “Consumattore” che guadagna potere al cospetto delle imprese, ma siamo quasi alle comiche…
E in tutto questo… Ferrero recita la parte del leone, traducendo quella che per molti si è rivelata una minaccia colossale in una grandiosa opportunità per “marcare il territorio” e far capire come si comporta un leader.
Cioè, che ti fa? Questo:
Il messaggio è forte e chiaro, della serie:
– “noi siamo Ferrero, esistiamo sul mercato da una vita e siamo sinonimo di qualità“ (richiamo sul posizionamento corporate, quindi del “marchio ombrello“);
– “è vero, usiamo l’olio di palma e non ce ne vergogniamo affatto, ma attenzione, c’é olio di palma e olio di palma, per cui … leggete bene le avvertenze e non fatevi prendere in giro!”;
– “non siamo solo noi a dirlo. Abbiamo endorsement importanti, dal fronte della tutela dell’ambiente” (leggasi, ad esempio, WWF).
Taaac, il gioco è fatto! Se ci aggiungiamo un po’ di sane pubbliche relazioni, per articoli che confermano le buone intenzioni e confortano la causa, beh, il gioco è fatto!
La mossa è davvero interessante, posto che uno deve essere certo in modo assoluto di ciò che difende.
Su un piano più tecnico, questo caso ci fa capire l’importanza del marketing come “funzione di confine a tutto tondo”, che deve guidare i processi di eventuale adeguamento/innovazione del prodotto, così come quelli di comunicazione, per difendere e valorizzare l’immagine aziendale.
Dal punto di vista della segmentazione del mercato, è un bell’esempio di “spostamento delle preferenze del consumatore“, con l’obiettivo chiaro di riavvicinare al brand i tanti consumatori ultimamente impauriti dall’olio di palma, che magari hanno optato per soluzioni “più rassicuranti”, fra cui anche le marche commerciali. Si pensi a Coop, fra le prime insegne a promuovere il total palm oil free.
Detto questo e fatti gli applausi del caso a Ferrero, il tema della crescente attenzione delle persone e soprattutto delle famiglie con bimbi verso un’alimentazione più sana è un tema cruciale, destinato a consolidarsi, per cui l’azienda piemontese, prima o poi, dovrà comunque andare incontro in qualche modo a questo trend. Da questo punto di vista, il mantra del “+ latte e – cacao” come equivalenza di maggiore qualità e, appunto, salubrità, è destinato a perdere decisamente forza propulsiva.