Amazon, il genio assoluto. Diabolico, spietato, ma geniale.
Si sa, la combriccola di Jeff Bezos difficilmente ne sbaglia una. Un congegno pressoché perfetto, alimentato da sagacia strategica e superiorità tecnologica.
Del resto, ad Amazon qualcosa manca e ci stanno lavorando.
Di cosa parliamo?
Ad Amazon manca cuore, manca anima. Amazon è una macchina perfetta, ma è appunto una macchina.
Della serie: se il ciente ha un problema, Amazon lo risolve. Anche passando sopra tutto e tutti, per carità, ma questo è un altro discorso.
A fronte di questo, però, zero spazio per sentimenti ed emozioni.
Il punto è che un brand “di riferimento”per ogni esigenza e occasione della vita delle persone non può permettersi di essere così poco umano.
Quindi, che si fa?
Innanzitutto tanta pubblicità, anche se non ne hai così bisogno per vendere.
Una pubblicità che racconti le emozioni che ruotano attorno ai prodotti che Amazon è in grado di far arrivare nelle case di tutti, in tempi rapidissimi e con una scelta quasi infinita.
E che racconti le storie (condite ad arte, per carità) di chi lavora per Amazon e che grazie ad Amazon ha cambiato la propria vita, realizzando i propri sogni.
Ma non basta.
Che cosa c’è di più emozionale della solidarietà, del supporto alle cause benefiche? Dell’aiutare chi è in difficoltà?
“Bingo!”, si potrebbe dire.
Un’altra mossa illuminata è quella dell’“Amazon for Charity Store”.
Ovvero?
Una sezione del sito interamente dedicata ai “campioni del mondo charity”, da Unicef ad Airc, passando per la Fondazione Umberto Veronesi e diversi altri.
Un mondo, quello delle non-profit, che come dicevamo qui non significa affatto “no money”.
Le non-profit hanno assoluto bisogno di denaro per supportare le loro mission.
E il denaro non può passare solo da donazioni volontarie. Con quelle copri solo una parte del tuo fabbisogno.
Per il resto devi bussare alle porte del mercato, ingegnandoti con operazioni di marketing sempre più raffinate. A fronte di una concorrenza, in ambito charity, sempre più forte e pressante.
A partire dai prodotti-regalo solidali per le ricorrenze (dai battesimi ai compleanni e così via), per fare in modo che le persone “comuni” (non i donatori “incalliti”) abbiano motivi ulteriori per contribuire.
Per far uscire le persone dal guscio insomma, quello dell’indifferenza. Perchè, in media, a fronte di una generica adesione alla causa (chi può essere contrario a cause del genere?), passare ai fatti non è mai così scontato.
Offrire prodotti interessanti (per vari motivi) come “premio” per la donazione può essere un incentivo, soprattutto nell’ottica dei “regali che fanno fare bella figura”.
E che cosa c’entra Amazon con tutto questo?
C’entra, c’entra. Per i player del non-profit, infatti, anche per quelli più grandi, una vigorosa spinta commerciale non fa assolutamente male. Se poi te la dà uno come Amazon…
Con il suo Charity Store, Amazon mette a disposizione delle non-profit uno spazio di vendita dedicato dei propri prodotti (senza commissioni di vendita) e un supporto per spingerli al meglio.
Ottimo per le non-profit coinvolte, che moltiplicano per “n” le proprie opportunità di vendita. Grazie alla visibilità che Amazon è in grado di offire. E grazie alle garanzie di assistenza, consegna e servizio che sa dare ai propri clienti.
Sì, perché così il cliente quel prodotto lo compra dal numero 1 dell’e-commerce, non da “uno che fa un altro mestiere”.
E i vantaggi per Amazon?
Una ventata di aria freschissima, “responsabile e solidale”. Meglio di così…
Peraltro, negli USA Amazon fa anche di più, con il programma “Smile”.
Una versione speculare del suo e-commerce, dove a fronte di ciò che i clienti comprano ordinariamente sulla piattaforma, lo 0,5% del fatturato viene destinato a una serie di non-profit partner dell’iniziativa.
Ok, caro Jeff, ci sta. La sai lunga. Ma occhio, che non basta…