La Ferragni l’ha fatta grossa, lo sappiamo. Il caso è stato vivisezionato da più parti.
Il tonfo è stato pesante. Del resto, più potere hai dal punto di vista mediatico più un inciampo del genere fa rumore.
Al di là di come andrà a finire (i problemi non sono di certo finiti), questo epic fail segna uno spartiacque, fra “un prima e un dopo”.
Attenzione, questa brutta vicenda non decreta la fine dell’influencer marketing, ma una possibile rinascita. Su basi nuove. O meglio, con un ritorno alle origini.
Cioè?
Recuperando l’essenza dell’influencer marketing, la sua “formula magica”.
Quali gli ingredienti?
✔️ Una passione viscerale, capace di coinvolgere altri come te.
✔️ Una forte competenza e/o un talento rispetto a quella passione, da “mettere al servizio degli altri”.
✔️ Capacità di racconto genuino e autentico, per “aprire un mondo” a chi ha il tuo stesso “chiodo fisso”.
✔️ Capacità di nutrire la community dei tuoi “fedelissimi”, senza mai venir meno a un patto di ferro.
Il fattaccio con la Balocco, quindi, è solo un epilogo. Il vero problema della Ferragni è aver smarrito la strada. L’essenza di The Blonde Salad.
La Ferragni di oggi è più una celebrity che il totem di una community di “ragazze e ragazzi come lei”. Un personal brand pronto a mungere il mercato, anche in modo speculativo, più che ad alimentare un mondo creato e condiviso con i propri fan.
L’errore principale è stato di perdere il contatto con la realtà, dimenticando cosa l’ha portata a diventare la numero 1. E “vendendo l’anima al diavolo”, cedendo alle lusinghe (quindi ai numeri da capogiro) e al meccanismo perverso delle licenze.
Che significa meno personalità e più celebrità fine a se stessa, vuota, sterile. E così, l’inciampo è dietro l’angolo, perché il gioco ti ingolosisce e vuoi sempre di più.
Nella vicenda Balocco la Ferragni ha commesso 3 grandi errori:
✖️ Ha sopravvalutato i suoi super-poteri, considerandosi al di sopra di tutto e di tutti.
✖️ È stata sprovveduta, perché i nodi non potevano non venire al pettine.
✖️ Ha gettato benzina sul fuoco, con scuse da incubo.
Da questo punto di vista, quello de L’Estetista Cinica appare come un modello più solido.
Tutto autenticità (“mi vedi come sono”), prossimità (“sono come te e mi interessa cos’hai da dirmi”) e orientamento alla community (“quello che faccio, lo faccio per te”).
Che non significa non sbagliare mai, ma saper anche sbagliare, come fa quell’amica che te la fa grossa, ma che poi viene da te e ti dice: “Senti, ho fatto una cavolata, prendimi a schiaffi se vuoi. Ma sono qui davanti a te e ci metto la faccia. Lo sai che rapporto c’è fra noi.”
Detto questo, aprendo una piccola parentesi, se vogliamo trovare un caso perfetto di comunicazione trasparente e incisiva nei confronti della clientela, per consolidare trust e attaccamento al brand, NeN Energia è davvero tanta roba (vedi sotto).
Ma torniamo a noi, perché oltre agli influencer molto bolle in pentola anche nel mondo dei testimonial pubblicitari.
Per capirci, quei personaggi famosi (sportivi, artisti, ecc) che si fanno pagare per accompagnare questa o quell’altra campagna pubblicitaria. Non quelli che diventano popolari partendo dal basso.
Come sottolinea l’ottimo Pambianco, anche qui sta finendo un’era. Che il “personaggione” ci metta nome e faccia sarà sempre meno interessante. Sempre più, il Vip di turno sarà chiamato a co-creare valore con il brand. Un valore progettuale, ispirazionale, relazionale.
Insomma, più che di testimonial, parleremo sempre più di ambassador e partner strutturali dei brand.
Un paio di esempi emblematici?
Nel tentativo di risalire la china, rosicchiando un po’ di quota a quel rullo compressore di Nike, Reebok ha deciso di integrare nel proprio reparto marketing nientepopodimeno che due leggende della pallacanestro come Shaquille O’Neal e Allen Iverson.
A loro le redini del comparto basket, per farsi venire le idee migliori per riportare il brand in alto, fra nuovi prodotti, nuove sponsorship e una ritrovata community, da far vibrare al massimo.
Dal canto suo, Puma ha deciso di coinvolgere il rapper A$AP Rocky nel suo reparto creativo per il design delle collezioni tecniche destinate alla Formula 1 (di cui Puma è fornitore ufficiale) e di articoli sportswear che strizzino l’occhio a quel mondo.
Obiettivo?
Dare una spinta di personalità al brand, chiamando a raccolta la corposa community di apostoli del rapper.
Insomma, lo scenario è chiaro: dal volto noto “che tutto può, con la sola imposizione delle mani” alla celebrity “che sposa un progetto, mettendoci del suo”.
Interessante articolo!
Grazie Luciano! Continua a seguirci!